Digiuno per la salute nelle carceri, se il virus dilaga è un rischio per tutti

Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, è impegnata dal 10 novembre in un'azione nonviolenta di digiuno, per chiedere al Governo di ridurre il sovraffollamento nelle carceri. Anche il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene, ha stilato dieci raccomandazioni indirizzate agli Stati membri del Consiglio d’Europa, in cui viene sollecitata l’urgenza di ridurre le presenze nelle carceri, mentre la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatović, chiede di intervenire per attivare misure alternative al carcere.

Nelle carceri italiane, oltre alle carenze strutturali degli edifici, continua a essere allarmante il sovraffollamento e la carenza di personale della polizia penitenziaria e di educatori. Il carcere è una realtà in cui il rischio della diffusione del Coronavirus è molto alto: non è previsto il distanziamento sociale, impossibile da applicare nei casi di sovraffollamento: la distanza minima di un metro nelle celle non viene infatti rispettata.

Al 13 novembre 2020, sono più di 600 i detenuti positivi e più di 800 gli operatori penitenziari contagiati, di cui la maggior parte personale di polizia penitenziaria. All’interno del carcere Dozza di Bologna sono almeno 12 i detenuti contagiati. Bisogna prevenire l'epidemia, non cercare rimedio dopo. Bisogna ricorrere alle misure alternative e aumentare la detenzione domiciliare per le persone che sono a fine pena, per rispondere così sia alla crisi legata al sovraffollamento che all’epidemia Covid-19. Bisogna intervenire prima che l’epidemia entri dentro le carceri, causando problemi sanitari e di sicurezza sociale enormi per il Paese, aumentando la pressione per il nostro sistema sanitario nazionale.

In Italia, sono più di 8.000 detenuti che devono scontare da 1 giorno a 12 mesi e altrettanti da 1 a 2 anni come pena residua. Parliamo di circa 16.000 persone. In uno Stato democratico, vista l’emergenza del Coronavirus, l’amnistia e l’indulto sarebbero provvedimenti necessari. In alcune carceri italiane, il sovraffollamento ha picchi del 200%: alla Dozza la capienza massima di 500 persone è ampiamente superata dalle circa 700 presenze.

Digiuno per la salute nelle carceri, se il virus dilaga è un rischio per tutti

Se non vogliamo che il carcere sia un processo di esclusione sociale, di disumanizzazione, scontare una pena deve poter essere un percorso che ristabilisce giustizia, non che aggiunge ingiustizia, e dobbiamo garantire condizioni di lavoro e di vita dignitose sia per chi lavora (polizia penitenziaria e educatori) che per gli uomini e le donne detenuti. Una riduzione delle presenze in carcere contribuirebbe positivamente ad affrontare la gestione sanitaria interna della prevenzione e dei focolai, favorendo migliori condizioni lavorative per gli operatori penitenziari e permettendo la prosecuzione in condizioni di sicurezza, delle attività lavorative e formative, di istruzione, culturali o sportive.

Durante la prima ondata della pandemia, a Bologna, il coordinamento fra l'autorità sanitaria locale e direzione della Casa circondariale di Bologna ha consentito di fronteggiare il diffondersi del contagio all'interno del carcere, pur in presenza di enormi difficoltà operative. Ma durante questa seconda ondata, il rischio di una diffusione del contagio all'interno dell'istituto penitenziario è molto concreto.

Serve una politica di decarcerizzazione, per la tutela del diritto alla salute di detenuti e degli operatori penitenziari.

Il Parlamento, in sede di conversione del Decreto Ristori, deve adottare ulteriori misure per ridurre il numero delle presenze, ampliando la platea dei beneficiari della detenzione domiciliare, e prevedendo la liberazione anticipata speciale passando dagli attuali 45 a 75 giorni, per quei detenuti che hanno dimostrato buona condotta e avviato un percorso orientato al reinserimento sociale, e la sospensione dell’emissione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive fino al 31 dicembre 2021 (a meno che la Procura valuti che "il condannato possa mettere in pericolo la vita o l'incolumità altrui").

Il Comune di Bologna, insieme all’Asl e alla direzione della Casa Circondariale, deve programmare di test sierologici e tamponi da destinare a tutto il personale penitenziario e a tutte le detenute e i detenuti, al fine di effettuare un constante monitoraggio della situazione. E perseguire nell'obiettivo di alleggerimento degli attuali numeri delle presenze in carcere, anche partendo dalle persone che presentano maggiori fragilità, affinché possa essere garantita l'efficacia degli interventi di prevenzione e di contenimento della diffusione del contagio, in un'ottica di tutela della salute pubblica.