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Gli invisibili senza tampone: dobbiamo estendere i tamponi anche agli operatori sociali

invisibili senza tamponeIn questi giorni in cui chiediamo ai cittadini di Bologna di restare a casa per frenare l'epidemia COVID-19, c'è chi affronta notte e giorno l'emergenza Coronavirus. Stiamo affrontando un'emergenza sanitaria, problemi di tipo economico, ma non possiamo dimenticare i servizi sociali che, a Bologna, di fronte all’emergenza, si stanno riorganizzando.

Se usciremo dalla crisi, sarà in gran parte merito di medici, infermieri e del personale degli ospedali. Sarà anche merito di educatori, assistenti sociali e volontari che continuano a occuparsi delle persone più fragili.

Le categorie da sottoporre al test, oggi, in via prioritaria, sono giustamente gli operatori sanitari, come anche i residenti nelle Rsa e nelle strutture per lungodegenti. Ma, in questi giorni in cui chiediamo ai cittadini di Bologna di restare a casa per frenare l'epidemia COVID-19, c'è chi affronta notte e giorno l'emergenza Coronavirus sul piano sociale e non solo sanitario: penso a chi lavora per le persone più fragili, in raccordo con le parrocchie e con le associazioni di volontariato. Insieme al personale medico che lavora nelle strutture sanitarie della nostra città, sono tanti gli operatori del sociale e del mondo educativo che, invece di rimanere a casa al sicuro con i propri cari, si trovano a dover fronteggiare la pandemia Coronavirus.

Sempre di più strutture socio-sanitarie (parlo di residenze per anziani e per disabili) sono vittime del contagio proprio a causa della loro peculiarità, ovvero quella di assistere nella vicinanza, anche fisica, persone in difficoltà. In queste realtà non solo non si può contemplare (o solo in minima parte) il distanziamento sociale, ma anche la convivenza stessa predispone al rischio di contagio. Nella triste piramide delle realtà potenzialmente coinvolte, ci sono molte altre situazioni in pericolo (strutture di accoglienza per le persone senza fissa dimora, comunità terapeutiche e post riabilitative, e penso anche alle comunità di accoglienza per mamme con bambini).

Tutte queste realtà che operano a favore delle prersone più fragili meritano indistintamente strategie di tutela.

Oggi sono realtà presidiate con scrupolosità da equipe di educatori e personale che, reinventandosi, hanno predisposto un nuovo modo di lavorare favorendo la sicurezza propria e dell’altro. In questi contesti di convivenza il contagio è alle porte e sarà difficilmente contenibile come in tutte le strutture residenziali ad oggi colpite.

Per le strutture che accolgono persone in grande “fragilità” dobbiamo prevedere di estendere i tamponi e prevedere anche delle strutture per eventuali quarantene. Non possiamo chiudere le comunità, né le RSA, né le accoglienze per gli anziani, né i dormitori, né le comunità terapeutiche e lasciare dentro le persone esposte ai rischi di contagio.

Possiamo, come accade per gli operatori della sanità, istituire una task force sul territorio che dialoghi tra sociale e sanitario per istituire dei protocolli preventivi nelle comunità.

Non lasciamo che siano semplicemente i gestori ad occuparsi del problema con i pochi mezzi a disposizione. Servono interventi coordinati, un protocollo di monitoraggio per il personale educativo delle strutture residenziali di tipo sociale e educativo (non solo sanitario).

Vorrei ringraziare gli operatori, il personale del Comune e di Asp, gli educatori e assistenti sociali, e i volontari impegnati con grande generosità a favore delle persone più fragili.